Bilancio di sostenibilità. Occorrono fatti

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“Il passaggio epocale e culturale ad una gestione del business sostenibile e responsabile, non può e non deve ricadere totalmente e completamente sulle imprese, che già (in particolare quelle più piccole) fanno fatica tra mille oneri e balzelli”

Bilancio sociale tra obbligo ed opportunità

Negli ultimi anni, alcune innovazioni a livello legislativo hanno introdotto l’obbligo a carico di diversi soggetti di predisporre la rendicontazione non finanziaria, che a seconda dei casi assume la denominazione di bilancio sociale, relazione di impatto, dichiarazione non finanziaria ecc…

Ci si riferisce in particolare:

1. all’introduzione tra i tipi societari della Società Benefit, avvenuta nel 2016, obbligata alla redazione della Relazione di Impatto insieme al bilancio di esercizio;

2. all’istituzione delle SIAVS, Start Up Innovative a Vocazione Sociale

     3. all’obbligo di redazione della Relazione non Finanziaria a carico delle società quotate e di interesse pubblico, introdotto nell’ordinamento ad opera del Decreto Legislativo 30 dicembre 2016, n. 254;

    4. alla completa rivisitazione del terzo settore, ad opera dei DL 112/2018 e 117/2017, che introducono l’obbligo per gli enti iscritti al Registro del Terzo Settore di redazione del bilancio sociale.

Se i soggetti di cui al punto 1) e 2) hanno scelto di costituirsi come Società Benefit o come SIAVS, ed hanno pertanto consapevolmente valutato l’onere di redazione del bilancio sociale, se per i soggetti di cui al punto 3) la spesa necessaria non costituisce certamente una preoccupazione, altrettanto non si può dire per gli enti del terzo settore.

Questi ultimi, soprattutto se di piccole dimensioni, si troveranno a dover far fronte ad un onere che con tutta probabilità (sbagliando) non ritengono necessario e che al contempo toglie risorse ad attività giudicate più importanti, quali quelle istituzionali.

Non si può nascondere che un processo completo di redazione di un bilancio sociale (al di là delle indicazioni ministeriali che verranno fornite con le linee guida previste dall’articolo 14 del citato DL 112/2007) prevede il coinvolgimento dell’intera struttura dell’ente e degli stakeholders esterni, la creazione di una cultura della sostenibilità e della responsabilità sociale a tutti i livelli dell’organizzazione, anche tramite attività di coaching, la misurazione dell’impatto generato attraverso l’identificazione degli indicatori idonei a valutarlo, una analisi di materialità, la redazione del bilancio sociale e l’individuazione degli obiettivi di miglioramento ecc…

Si tratta insomma di una attività complessa che, per condurre ad un risultato completo ed affidabile, deve essere compiuta da soggetti con professionalità specifiche. 

Incetivare il processo di adozione della responsabilità d’impresa

Riteniamo che il Legislatore avrebbe fatto quindi bene ad introdurre incentivi o agevolazioni per favorire, per lo meno nei primi anni di applicazione, l’adozione del bilancio sociale da parte di questi soggetti. La logica del “bastone e della carota” avrebbe probabilmente consentito una adozione meno dolorosa dello strumento giuridico rappresentato dal bilancio sociale, favorendo al contempo la diffusione non tanto della cultura della sostenibilità, connaturata negli enti del terzo settore, quanto la consapevolezza della necessità della misurazione dell’impatto generato, quale strumento indispensabile per comprendere dove si posiziona la propria organizzazione, quale impatto essa abbia sugli stakeholders e sull’ambiente ed infine in quale direzione occorra indirizzare in futuro l’attività.

Gli incentivi potrebbero ricalcare quanto già fatto, ad esempio, per le attività di ricerca e sviluppo, concedendo quindi un credito di imposta pari alle spese sostenute per le consulenze necessarie alla redazione del bilancio sociale.

Alcune Regioni si sono già mosse in questa direzione.

Ad esempio in Lombardia esiste l’Albo Regionale Cooperative Sociali. Per iscriversi, la cooperativa deve depositare in Camera di Commercio il Bilancio Sociale, ma al contempo l’iscrizione consente di accedere ai benefici economici previsti dalla Regione, di procedere all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, di stipulare convenzioni con enti pubblici in deroga alle normali procedure per l’assegnazione di servizi.

In Friuli Venezia Giulia viene sperimentato, a favore delle PMI, un sistema per incentivare “Un approccio strategico nei confronti del tema della responsabilità sociale delle imprese … sempre più importante per la loro competitività” (il testo in corsivo è tratto dal sito della Regione) in attuazione dell’articolo 51 della Legge Regionale 9 agosto 2005, n. 18, che prevede un contributo pari all’80% delle spese sostenute, fino ad un massimo di 7.000 euro per l’adozione del bilancio sociale e di 10.000 euro per l’adozione del sistema di gestione della responsabilità sociale secondo la norma SA 8000.

Alcuni spunti e suggerimenti

 A nostro avviso sarebbe importante che analoghe iniziative venissero prese a livello nazionale. Il tempo non manca, visto che le linee guida per la redazione del bilancio sociale non sono ancora state emanate e quindi, con tutta probabilità, riguarderanno i rendiconti del 2019.

Auspichiamo pertanto un intervento normativo in tal senso, in mancanza del quale per molte realtà del terzo settore il bilancio sociale rischia di essere considerato un ennesimo adempimento non necessario, mentre dovrebbe essere inteso come un’opportunità per dare un indirizzo più consapevole e mirato alla propria azione sociale.

Un quadro normativo dedicato

Quello che auspichiamo in realtà è una dimostrazione concreta di quanto il nostro “Sistema Paese” abbia a cuore la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa, sottolineando che le tematiche afferenti ai due concetti non possono semplicisticamente ridursi ad una coscienza ecosostenibile ma anche e soprattutto ad una complessiva responsabilità sociale ad esempio nel campo della partecipazione agli appalti pubblici (anticorruzione) e nell’utilizzo dei fondi pubblici.

In tal senso sarebbe utile oltre che necessario introdurre dei sistemi “premianti” ed incentivanti con misure complete e ad hoc. Ne suggeriamo alcune:

1. Creazione di una sezione speciale del Registro Imprese per le società che certificano il proprio bilancio di sostenibilità e bilancio sociale (al pari delle SIAVS e delle Società Benefit);

2.Introduzione di un sistema agevolato di accesso al credito anche con l’utilizzo del Fondo Centrale di Garanzia;

3.Introduzione di sistemi premianti per l’accesso ad agevolazioni e bandi pubblici

4.Introduzione di agevolazioni (anche in forma di voucher) per l’investimento necessario ad ottenere il bilancio sociale e di sostenibilità;

5.Introduzione di agevolazioni specifiche per programmi di formazione volti alla governance sostenibile delle imprese;

6.Introduzione di sistemi premianti per la partecipazione a gare ed appalti pubblici;

7.Introduzione di sistemi di agevolazione al lavoro ed agli investimenti in sostenibilità e responsabilità sociale;

8.Introduzione di sistemi di agevolazione fiscale.

Una responsabilità sociale “globalizzata”

Certo l’introduzione di un quadro normativo a supporto e stimolo di una economia sostenibile e responsabile a livello nazionale può essere utile ed opportuno, ma rischierebbe di ottenere un effetto limitato (o addirittura contro produttivo, in termini di economia globalizzata) per le imprese nazionali che adottano questo nuovo pensiero. La responsabilità sociale e la sostenibilità, arrivano nelle nostre case e nella nostra vita quotidiana attraverso i prodotti e i servizi delle imprese che li producono e se produrre in “responsabilità” può significare una “minore competitività in termini di costo industriale e commerciale” rispetto a prodotti e servizi provenienti da Paesi a “scarsa sensibilità sociale” questo rischia di diventare penalizzante rilevando che la coscienza sostenibile è sicuramente condivisa da tutti noi in termini di filosofia, un pò meno in termini di comportamenti concreti e soprattutto in termini di comportamenti di acquisto.

Certo a livello mondiale ed europeo esistono già programmi e politiche che “invitano” le nazioni e le imprese  a comportamenti responsabili e sostenibili ma senza alcun obbligo ovvero senza alcuna penalizzazione in termini di politica economica.

La vera soluzione sarebbe l’introduzione di misure di politica economica internazionale nell’ambito dei trattati di scambio e commercio internazionale che favoriscano l’ingresso alle dogane di prodotti e servizi sostenibili a svantaggio di prodotti e servizi che non lo sono.

 

 

 


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